Luca Scarabelli

Appoggio cose
Sono nato nel 1965 in un luogo che non vuol dire nulla, la maggior parte del mio tempo lo passo in bicicletta, in giro per boschi e strade più o meno trafficate.
L’opera per quanto mi riguarda non comunica informazioni e non illustra nulla. Il suo senso ultimo è sfuggente, il significato ha bordi incerti e aporie, in quello che faccio c'è una connessione di cose minori, laterali, per sondare gli aspetti reconditi del "mormorio" del mondo e costruire una relazione con un tempo che appare privo di accadimenti, in questo si intravede una trama sottile che unisce il tutto e che porta allo scoperto una possibilità; la stupefazione. 
Mi affido all’intuizione e molte volte la parte importante del lavoro è quella di accogliere il dubbio. La mia ricerca verte su tematiche come il tempo e il senso dell’attesa, il momento in cui non succede nulla, la stasi, la pausa carica di tensione. Il senso delle opere è anche nello spazio che le separa e le lega nella distanza, sono un "frammento di tempo allo stato puro”. 
Dipingo con le cose. Cose leggere, al limite dell'inutile.  
Il resto è un segreto.
Il passo di Ercole
Luca Scarabelli
La fonte apocrifa
Una fonte apocrifa del II sec d.C. racconta che durante le dodekàthlos, Eracle (Ercole per gli amici latini) stanco di espiare il fatto di essersi reso colpevole della morte della sua famiglia, si fermò, rimase fermo in una severa posa plastica da kouroi, che sarebbe tanto piaciuta anche a Giacometti… in attesa di un pensiero salvifico. In quella stasi richiamò alla mente la nera signora che si portò via, con la sua follia determinata da Era, la moglie Megara e i loro figli.
L'eroe
L’eroe primigenio e tellurico, dopo ore di paralisi e immobilità, decise di recarsi ancora una volta presso l’oracolo di Delfi per chiedere alla Pizia cosa potesse fare per accorciare le sue fatiche, muovere nuovi passi, e sfuggire ai dodici anni del servizio obbligato presso Euristeo, re di Micene, uomo un pochetto pauroso e fellone, che tra l’altro odia profondamente, che gli ha imposto le fatiche. Ad accompagnarlo un giovane compagno, Autereo, un aedo figlio di Hermes. Lungo in cammino si fermarono più volte a fare grandi mangiate e bevute. A tratti lo accompagnò anche Teseo.
La predizione
La Pizia gli predisse che avrebbe dovuto creare un’opera d’arte che contenesse in un crogiolo filosofico, morale, allegorico e fisico, l’insieme delle dodici prove. Catturare, rubare, uccidere, disperdere, ripulire… Un pò intontito dalla strana predizione, in particolare dalla nuova parola che non conosceva, arte, vagò fino ai confini del mondo dove costruì due grandi colonne. Ma non era quello che gli era stato chiesto. Si recò allora, ancora una volta, in Arcadia, a praticare la pittura e la scultura di quelle civiltà, a studiare il loro fare, per scoprire come manifestare poiesis e téchne.
In cammino
Lungo il fiume Alfeo, in un cammino meditabondo ed ebbro, vide rotolare delle pietre. Camminava a passi svelti. La polis di Sparta non era lontana. Pensò alla gloria di Era e alla regina di Lidia, ad Ebe, e ancora alle sfide ardue e dure che lo aspettavano, pensò alla feroce lotta con il leone di Nemea che lo aveva visto vincitore e sorrise al pensiero del cinghiale Erimanto che fece nascondere il re Euristeo in una botte.
Richiamò alla mente anche il momento esatto, di quando era un bambino vigoroso e paciuto, e molto forzuto, il momento preciso in cui con la cetra spaccò la testa del suo insegnante di musica, dopo che questi lo richiamò all’attenzione in rispetto ad un piccolo errore che fece nell’esecuzione di un brano. Fin da bambino in Ercole trasparivano delle problematiche educative, determinate dal suo carattere fiero e assolutamente non riflessivo, con dei tratti della sua personalità in formazione, di eccessiva virulenza, accompagnati da una mancanza cronica di controllo della sua forza, un ragionare sulla causa-effetto decisamente inesistente, tanto che i genitori, in particolare l’apprensiva madre Acumena, richiesero alla scuola l’insegnante di sostegno e un BES adeguato.
I passi sparsi e le sfere
Ecco le fatiche di un uomo figlio di un Dio, destinato all’oblio, destinato a perdere il suo nome, anche se lui già si immaginava fama e gloria, e il culto futuro dedicato alla sua forza, ma era troppo pigro per fare altri passi. Ne bastava uno. Sulla riva del fiume, si tolse i sandali e si fermò ancora, con decisa e risolutiva posa plastica. Dopo un cammino lungo e dispendioso, in cui l’incedere è stato claudicante e i passi sono stati sparsi, affaticati, pesanti. Sarà stato per il peso della clava appoggiata sulle spalle che si faceva sentire con l’età avanzata. Abbandona sulla riva del fiume anche la pelle di Nemeo che lo veste, il nostro supereroe tragico è stanco e nudo. Il racconto mitico ci dice che è proprio in quel momento che comincia ad appallottolare delle calze nere, quelle che indossava di notte, senza troppo pensarci, con dei gesti quasi automatici, componendo una pseudo sfera. Sembra un gioco rilassante, un gesto lento e reiterato, inutile, distaccato, ma in quel momento Ercole da forma ad una sfera irregolare e crea un’opera d’arte, anche se ancora non lo sapeva cosa era un’opera d’arte (Teseo, presente, si domandò dove era finita la sua forza bruta e cosa diavolo fosse quella sfera che Ercole si passava di mano in mano).
La gravità
Una piccola sfera nera, al tatto morbida, che sembrava racchiudere alla fine, secondo i dettami delfici, proprio le richieste della Pizia, e una nuova proprietà sconosciuta; la gravità. Quale prodigio, far vedere una cosa che non si vede e che ancora è difficile da pensare e immaginare. Ed ecco il punto. Un punto nero.
Teseo disse ad Ercole, con parole sincere “ecco il tuo passo!”. E ancora “È un passo che è il segno del movimento, ma è anche una riflessione sulla distanza tra un passo e l'altro, è un passo pesante e pensante, un appunto sul tempo che intercorre tra i movimenti del tuo corpo”.
Ecco l'opera
E come sappiamo dalle cronache di Apollodoro il corpo di Ercole è di ben quattro cubiti. Ercole presenta i suoi passi, il suo passo, che poi sono anche i passi di tutti quelli che hanno due gambe per fare i passi e così facendo si fanno spazio.
I passi non sono ordinati, sono molteplici o solitari, non c'è un percorso preciso da seguire, anche se a volte la tentazione è di costruire una geometria per misurare, con loro, lo spazio. Ecco l’opera, non solo è una scultura di nuova tipologia, che espande il campo, ma un “campo” di relazioni possibili, prima di tutto spaziali, ed ecco il tempo per stare al passo. L’attesa del prossimo passo.

Luca Scarabelli


Appoggio cose
Sono nato nel 1965 in un luogo che non vuol dire nulla, la maggior parte del mio tempo lo passo in bicicletta, in giro per boschi e strade più o meno trafficate.
L’opera per quanto mi riguarda non comunica informazioni e non illustra nulla. Il suo senso ultimo è sfuggente, il significato ha bordi incerti e aporie, in quello che faccio c'è una connessione di cose minori, laterali, per sondare gli aspetti reconditi del "mormorio" del mondo e costruire una relazione con un tempo che appare privo di accadimenti, in questo si intravede una trama sottile che unisce il tutto e che porta allo scoperto una possibilità; la stupefazione. 
Mi affido all’intuizione e molte volte la parte importante del lavoro è quella di accogliere il dubbio. La mia ricerca verte su tematiche come il tempo e il senso dell’attesa, il momento in cui non succede nulla, la stasi, la pausa carica di tensione. Il senso delle opere è anche nello spazio che le separa e le lega nella distanza, sono un "frammento di tempo allo stato puro”. 
Dipingo con le cose. Cose leggere, al limite dell'inutile.  
Il resto è un segreto.
Il passo di Ercole
Luca Scarabelli
La fonte apocrifa
Una fonte apocrifa del II sec d.C. racconta che durante le dodekàthlos, Eracle (Ercole per gli amici latini) stanco di espiare il fatto di essersi reso colpevole della morte della sua famiglia, si fermò, rimase fermo in una severa posa plastica da kouroi, che sarebbe tanto piaciuta anche a Giacometti… in attesa di un pensiero salvifico. In quella stasi richiamò alla mente la nera signora che si portò via, con la sua follia determinata da Era, la moglie Megara e i loro figli.
L'eroe
L’eroe primigenio e tellurico, dopo ore di paralisi e immobilità, decise di recarsi ancora una volta presso l’oracolo di Delfi per chiedere alla Pizia cosa potesse fare per accorciare le sue fatiche, muovere nuovi passi, e sfuggire ai dodici anni del servizio obbligato presso Euristeo, re di Micene, uomo un pochetto pauroso e fellone, che tra l’altro odia profondamente, che gli ha imposto le fatiche. Ad accompagnarlo un giovane compagno, Autereo, un aedo figlio di Hermes. Lungo in cammino si fermarono più volte a fare grandi mangiate e bevute. A tratti lo accompagnò anche Teseo.
La predizione
La Pizia gli predisse che avrebbe dovuto creare un’opera d’arte che contenesse in un crogiolo filosofico, morale, allegorico e fisico, l’insieme delle dodici prove. Catturare, rubare, uccidere, disperdere, ripulire… Un pò intontito dalla strana predizione, in particolare dalla nuova parola che non conosceva, arte, vagò fino ai confini del mondo dove costruì due grandi colonne. Ma non era quello che gli era stato chiesto. Si recò allora, ancora una volta, in Arcadia, a praticare la pittura e la scultura di quelle civiltà, a studiare il loro fare, per scoprire come manifestare poiesis e téchne.
In cammino
Lungo il fiume Alfeo, in un cammino meditabondo ed ebbro, vide rotolare delle pietre. Camminava a passi svelti. La polis di Sparta non era lontana. Pensò alla gloria di Era e alla regina di Lidia, ad Ebe, e ancora alle sfide ardue e dure che lo aspettavano, pensò alla feroce lotta con il leone di Nemea che lo aveva visto vincitore e sorrise al pensiero del cinghiale Erimanto che fece nascondere il re Euristeo in una botte.
Richiamò alla mente anche il momento esatto, di quando era un bambino vigoroso e paciuto, e molto forzuto, il momento preciso in cui con la cetra spaccò la testa del suo insegnante di musica, dopo che questi lo richiamò all’attenzione in rispetto ad un piccolo errore che fece nell’esecuzione di un brano. Fin da bambino in Ercole trasparivano delle problematiche educative, determinate dal suo carattere fiero e assolutamente non riflessivo, con dei tratti della sua personalità in formazione, di eccessiva virulenza, accompagnati da una mancanza cronica di controllo della sua forza, un ragionare sulla causa-effetto decisamente inesistente, tanto che i genitori, in particolare l’apprensiva madre Acumena, richiesero alla scuola l’insegnante di sostegno e un BES adeguato.
I passi sparsi e le sfere
Ecco le fatiche di un uomo figlio di un Dio, destinato all’oblio, destinato a perdere il suo nome, anche se lui già si immaginava fama e gloria, e il culto futuro dedicato alla sua forza, ma era troppo pigro per fare altri passi. Ne bastava uno. Sulla riva del fiume, si tolse i sandali e si fermò ancora, con decisa e risolutiva posa plastica. Dopo un cammino lungo e dispendioso, in cui l’incedere è stato claudicante e i passi sono stati sparsi, affaticati, pesanti. Sarà stato per il peso della clava appoggiata sulle spalle che si faceva sentire con l’età avanzata. Abbandona sulla riva del fiume anche la pelle di Nemeo che lo veste, il nostro supereroe tragico è stanco e nudo. Il racconto mitico ci dice che è proprio in quel momento che comincia ad appallottolare delle calze nere, quelle che indossava di notte, senza troppo pensarci, con dei gesti quasi automatici, componendo una pseudo sfera. Sembra un gioco rilassante, un gesto lento e reiterato, inutile, distaccato, ma in quel momento Ercole da forma ad una sfera irregolare e crea un’opera d’arte, anche se ancora non lo sapeva cosa era un’opera d’arte (Teseo, presente, si domandò dove era finita la sua forza bruta e cosa diavolo fosse quella sfera che Ercole si passava di mano in mano).
La gravità
Una piccola sfera nera, al tatto morbida, che sembrava racchiudere alla fine, secondo i dettami delfici, proprio le richieste della Pizia, e una nuova proprietà sconosciuta; la gravità. Quale prodigio, far vedere una cosa che non si vede e che ancora è difficile da pensare e immaginare. Ed ecco il punto. Un punto nero.
Teseo disse ad Ercole, con parole sincere “ecco il tuo passo!”. E ancora “È un passo che è il segno del movimento, ma è anche una riflessione sulla distanza tra un passo e l'altro, è un passo pesante e pensante, un appunto sul tempo che intercorre tra i movimenti del tuo corpo”.
Ecco l'opera
E come sappiamo dalle cronache di Apollodoro il corpo di Ercole è di ben quattro cubiti. Ercole presenta i suoi passi, il suo passo, che poi sono anche i passi di tutti quelli che hanno due gambe per fare i passi e così facendo si fanno spazio.
I passi non sono ordinati, sono molteplici o solitari, non c'è un percorso preciso da seguire, anche se a volte la tentazione è di costruire una geometria per misurare, con loro, lo spazio. Ecco l’opera, non solo è una scultura di nuova tipologia, che espande il campo, ma un “campo” di relazioni possibili, prima di tutto spaziali, ed ecco il tempo per stare al passo. L’attesa del prossimo passo.