Il museo‑ponte tra materia, luce e violazione del progetto
Negli anni Settanta, quando Maurizio Sacripanti progetta il museo di Maccagno, l’architettura italiana parla ancora la lingua della sincerità. Il cemento armato a vista non è un travestimento, ma un atto di fede: mostrare la costruzione, rivelare la logica del corpo architettonico, far coincidere struttura e forma. Sacripanti non disegna un edificio: costruisce un pensiero.
Il Civico Museo Parisi Valle nasce così, sospeso tra le sponde del torrente Giona, ponte e luogo al tempo stesso, passaggio e sosta. È un’architettura che si tende nello spazio come un muscolo, che si lascia attraversare dalla luce, dall’acqua, dal tempo.
Poi arriva la paura. Il cemento, troppo sincero, viene coperto. Gli spigoli, troppo netti, vengono addolciti da scossaline metalliche. L’edificio, nato per esprimere la verità della sua materia, viene costretto a fingere. Si intonaca, si liscia, si zittisce.
Ma un’opera come questa non tollera il maquillage. Il progetto originario era un manifesto: la struttura doveva restare nuda, esposta, viva. Ogni rivestimento è un atto di rimozione, una resa culturale.
Il cemento di Sacripanti non è brutalità, è linguaggio. È la voce stessa dell’architettura che, per dirla con Bruno Zevi, “manifesta la propria verità nello spazio”.
Coprirla significa negarne l’essenza, trasformare la chiarezza in convenzione, la verità in superficie.
Eppure, anche dietro le ferite dei rifacimenti, il museo conserva la sua potenza: continua a essere un organismo vivo, teso, inquieto. Un ponte tra terra e acqua, tra arte e costruzione.
Sacripanti ci aveva avvertiti, in modo implicito ma netto: l’architettura autentica è quella che mostra se stessa, senza paura di apparire per ciò che è.
Bruno Zevi, Saper vedere l’architettura, Einaudi, Torino 1948, in particolare il capitolo “La verità del linguaggio architettonico”.
Maurizio Sacripanti, Progetti e scritti 1946–1983, Officina Edizioni, Roma 1984.
Contatti