Le fatiche del giovane Herzog

La popolarità di Ercole nel peplum nasceva dalla sua spettacolarità corporea
Tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60 e ’70 furono realizzati, perlopiù in Italia, almeno un centinaio di pepla (o peplum): film in costume in cui Eracle, trasformato in Ercole, diventa un mito pop chiamato a combattere contro chiunque – da Sansone (Ercole sfida Sansone, 1963) a Franchi e Ingrassia (Franco e Ciccio e Maciste contro Ercole nella valle dei guai, 1961). Il film che tradizionalmente segna l’inizio del boom è giustamente Le fatiche di Ercole di Pietro Francisci (1958).
La popolarità di Ercole nel peplum nasceva dalla sua spettacolarità corporea: il culturista-eroe offriva un modello visivo semplice, immediatamente riconoscibile e facilmente esportabile. Il mito, narrativamente elastico, si adattava perfettamente a produzioni rapide e a basso costo.
Un anti-peplum tra muscoli e realtà quotidiana
In questo fantasioso panorama spicca Herakles (1962), cortometraggio giovanile di Werner Herzog (1942), che alterna le pose eroiche di un culturista a sequenze documentarie della realtà: traffico, esercitazioni militari, incidenti, distruzioni. Il film, muto, girato in 16 mm e lungo dodici minuti, usa testi sovrimpressi: alla domanda “Ripulirà le stalle di Augia?” seguono immagini di discariche. A ciascuna delle sei “imprese” evocate, Herzog risponde con frammenti del presente che mostrano fragilità, violenza e assurdità del mondo moderno. Il risultato è un anti-peplum: un Ercole impotente davanti alla realtà, un eroe già reso obsoleto dal presente.
Il suo mito viaggia fino al mondo buddhista, dove Eracle si trasforma in Vajrapani, guardiano e protettore del Buddha
Eracle – “gloria di Era” – è, nella tradizione greca, un personaggio intrinsecamente ambiguo: eroe e divinità, mortale e immortale, figura universale per tutte le stagioni. Nella versione romana diventa Ercole, mantenendo la genealogia ma venendo pragmaticamente riadattato: protettore dei soldati e delle attività commerciali. Non solo: tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C., il suo mito viaggia fino al mondo buddhista, dove Eracle si trasforma in Vajrapani, guardiano e protettore del Buddha.
La perenne presenza di Ercole nel mondo occidentale
In arte lo ritraggono Antonio del Pollaiolo, Tintoretto, Rubens, Annibale Carracci; in scultura Lisippo (di cui restano copie romane), Canova e Baldinelli. Nella letteratura è onnipresente: in Omero, nella Divina Commedia, nelle tragedie di Sofocle, Aristofane, Euripide, Seneca, fino a giungere al 1954 con Hercules und der Stall des Augias di Friedrich Dürrenmatt.
Il nostro eroe nasce dall’unione tra Zeus e Alcmena, moglie di Anfitrione: è quindi un semidio destinato, dopo le sue imprese e la purificazione finale, a essere accolto tra gli dei. Zeus decreta la sua apoteosi e Atena, per suo volere, lo trae dal rogo e lo conduce sull’Olimpo. Zeus, come noto, non disdegnava avventure amorose con donne immortali e mortali, sposate e non: materia ideale per alimentare la gelosia di Era. Tra le amanti del dio la più celebre è Europa, da lui rapita dopo essersi trasformato in un placido toro bianco. Seduce, stupra, abbandona, procrea – senza alcuna vocazione pedagogica o moraleggiante.
Nascita, prodigi e le dodici fatiche
Diodoro Siculo racconta che Zeus, per ingraziarsi Era, la persuase ad adottare Eracle: la dea, per imitare un parto, lo strinse al petto e poi lo fece cadere dal letto. Non sappiamo se sia caduto di testa o di sedere; certo è che gli inizi non furono promettenti. A otto mesi Era gli manda due serpenti nella culla: Eracle li strangola senza scomporsi.
Cresce forte come Schwarzenegger, abilissimo nelle arti della guerra, un po’ meno nella musica. Offeso da un rimprovero, uccide il maestro Lino con la lira; punito, viene mandato a pascolare greggi fino a diciott’anni. Lì uccide un leone che terrorizza la zona. Da quel momento nessuno riesce più a fermarlo.
Arriva così il cugino Euristeo, re di Tirinto, che gli impone – per decreto di Zeus e per espiare i suoi delitti di follia – le famose dodici fatiche. Eracle consulta l’oracolo di Delfi, che gli conferma la condanna con la consueta imperturbabile sicurezza da “manuale dell’oracolo”.
Eracle strangola i serpenti davanti agli occhi di Anfitrione e Alcmena. Frammento.
Affresco del Quarto stile. 60—79 d.C.
Pompei, Parco Archeologico, Casa dei Vettii (VI. 15. 1. n)
Il leone di Nemea e l’ordine incerto delle dodici fatiche
La prima fatica, Il leone di Nemea, la sbriga con relativa facilità: non potendo scalfire la pelle invulnerabile, lo soffoca e ne usa la pelle come mantello-copricapo – un oggetto iconico e quasi “transizionale”, tra la coperta di Linus e il feltro di Beuys. In origine le fatiche dovevano essere dieci, ma Euristeo ne invalida due: quella dell’Idra di Lerna – perché Eracle è aiutato da Iolo – e quella delle stalle di Augia, perché Eracle avrebbe accettato un compenso per il lavoro. E così diventano dodici.
L’ordine varia secondo le fonti: Apollodoro, Diodoro Siculo e la tradizione moderna non si trovano d’accordo. Apollodoro indica come quinta Le stalle di Augia, Diodoro Siculo Gli uccelli del lago Stinfalo; la tradizione moderna (Treccani) pone come quinta Il toro di Creta e come sesta Le stalle di Augia. Grande confusione sotto il cielo del monte Olimpo. Eracle, dopo aver ripulito le stalle, sarebbe stato l’ideatore dei giochi olimpici. Anche in questo caso, però, le fonti divergono: i miti sull’origine delle Olimpiadi cambiano a seconda dell’epoca e del luogo in cui vengono raccontati, rendendo difficile stabilire una “versione ufficiale” condivisa. I Greci praticavano una mitopoiesi retroattiva: ogni città, ogni santuario, ogni poeta cercava di rivendicare per la propria città un’origine più antica, collegando i giochi a eroi locali e, spesso, a Eracle, “l’eroe per eccellenza”.
Hércules lucha con el león de Nemea
Artista: Francisco de Zurbarán
Anno di completamento: 1634
Dimensioni: 151 × 166 cm
Collocazione: Museo del Prado
Descrizione:
Il dipinto raffigura Eracle mentre combatte contro il leone di Nemea. Il critico d’arte spagnolo Soria suggerisce un paragone con una xilografia realizzata da Cornelis Cort ispirata a un’opera di Frans Floris, basandosi sulla posizione dell’eroe. L’ambientazione rocciosa è stata progettata seguendo una xilografia di Barthel Beham: Lotta contro il centauro(1542).
L’opera fa parte di una serie di dieci lavori sulle Fatiche di Ercole commissionata da Filippo IV di Spagna per decorare la Sala dei Regni nel Palazzo del Buen Retiro. La serie è oggi esposta al Museo del Prado.
Eracle è un eroe perfetto per il nostro tempo: una figura plurale, contraddittoria, post-identitaria. Non un soggetto compatto, ma fratturato. Non un modello morale, ma un catalogo di possibilità dell’agire umano. Fortissimo e vulnerabile, civilizzatore e violento, divino e umano senza mai stabilizzarsi, Eracle è un eroe molteplice, impossibile da ridurre a un’unica immagine. La sua morte stessa assume la forma di un paradosso: è vivo e morto allo stesso tempo, come il celebre gatto di Schrödinger.
Deianira, temendo di perderlo, gli dona una tunica intrisa del sangue del centauro Nesso, credendola un filtro d’amore. Ma è un veleno: il sangue è contaminato dal veleno dell’Idra. Eracle, indossandola, sente la carne bruciare fino all’osso. Capito che non esiste rimedio, fa costruire una pira sul monte Eta, vi sale e si lascia bruciare. La parte mortale muore; quella divina ascende all’Olimpo.
Roberto Pugina